La bronzistica tardo arcaica in Magna Grecia: Sibari-Poseidonia o Taranto?
Un contributo al dibattito scientifico sulla toreutica tarantina.
di Giovanna Bonivento Pupino
Sull’esistenza di una scuola posidoniate per la lavorazione del decoro scultoreo templare in loco si può essere d’accordo per il tipo di produzione, per quanto il termine “coloniale” implichi anche l’eventualità di artigiani-coloni immigrati in più generazioni dalla madre patria Sibari e stabilitisi nella colonia almeno per la durata di 60 anni, dal 580 al 480 a.C.: più generazioni di artisti influenzati da numerosi e ben approfonditi stilemi dell’arte ionica.
Nell’ambito della plastica in bronzo grande spazio merita in questo dibattito (BONIVENTO PUPINO 1987) la produzione di grandi crateri in metallo per simposio, una classe che ci collega alla problematica sulla toreutica tarantina ed alla metallurgia in genere nella colonia spartana di Taras, in relazione alla presenza o meno di ateliers locali con una tradizione (BONIVENTO PUPINO 1970); non basta infatti identificare i luoghi di rinvenimento di metalli ed oreficerie, tra cui sbalzi d’argento e gioielli aurei, come luoghi di produzione, per affermare l’esistenza di una tradizione in loco di “toreutica tarantina” come affermato nell’ottica del pantarantinismo (WUILLEUMIER 1939) e neopantarantinismo in relazione a toreutica ed “ori di Taranto”(LIPPOLIS 1985) attribuendo a lavorazione con ubicazione in fabbrica tarantina sia di bronzi arcaici sia di argenti cesellati di età classica ed oreficeria dall’arcaica all’ellenistica, prodotti di prestigio circolati in un circuito commerciale nell’area tarantina ed apula perché apprezzati dalle elites come doni di prestigio o al seguito dei condottieri.
Un caposaldo della toreutica tarantina è stato ritenuto il famoso cratere di Vix; nello studio di questo capiente vaso da banchetto, rinvenuto in area celtica, è stata notata una grande somiglianza tra un bronzetto raffigurante una testa di cavallo trovato a Sibari e la testa equina sul collo del cratere di Vix, ritenuto dalla passata critica un caposaldo della toreutica tarantina; secondo Rolley invece si deve far risalire come produzione allo stesso atelier in cui vennero prodotte almeno quattro delle famose hydriai dell’heroon di Poseidonia, il cenotafio di Is fondatore di Sibari, trasportato nella colonia sibarita di Poseidonia dopo la distruzione di Sibari nel 510 a.C.
Tale atelier di bronzisti produttore della piccola applique a testa di cavallo, di quattro hydriai dell’heroon, del cratere di Vix, nell’ipotesi di Rolley è da ritenersi dunque sibarita: a Sibari si sarebbero prodotti vasi martellati, pregevoli opere di toreutica, con corpo tuttuno col labbro secondo una pregevole tecnica perduta proprio con la distruzione di Sibari del 510 a.C., data che avrebbe segnato l’arresto della produzione, provata anche dal rinvenimento di due frammenti di anse orizzontali da Francavilla Marittima (Sibari) simili ai tipi da Paestum.
Nella concitazione della fuga i profughi sibariti curarono il trasporto sia del cenotafio del loro eroe fondatore sia dei pregevoli vasi di bronzo deposti all’interno del suo heroon.
Col metodo dell’analogia stilistica e dell’analisi tecnologica, in questo caso riferita alla tecnica di martellamento, il caposaldo della toreutica tarantina, il cratere di Vix, è rimesso in discussione, lasciando aperto il dibattito ancora in corso sull’ubicazione della fabbrica: un atelier laconico,spartano -tarantino? sibarita? etrusco?
Sull’ipotesi di una scuola poseidoniate di bronzi e bronzetti vorrei riprendere la considerazione di Paola Zancani Montuoro (segnalante per Poseidonia-Paestum reperti arcaici e tardo arcaici quali: l’applique di Berlino, il sostegno di specchio che Phillo dedicò ad Atena, gli otto vasi colmi di miele nell’ipogeo dedicato ad Is, nell’Athenaion: «Siamo allo scorcio del VI a.C., poi la produzione bronzistica si ferma e dobbiamo scendere all’età romana con la statua di bronzo di Marsia, prodotto per di più non raffinato».
La studiosa dunque rimarca il salto troppo lungo di cronologia, il vuoto di produzione nel tempo, la mancanza di prodotti riconducibili all’età classica ed ellenistica, in altri termini l’assenza di una tradizione bronzistica a Poseidonia.
Può essersi-mi chiedo-formata una scuola sibarita di bronzisti solo per l’età arcaica? Anche ammettendone l’interruzione a causa della distruzione del 510 a.C., come si spiega l’assenza di una continuità dell’atelier dopo il trasferimento dei profughi a Posidonia?
A questo punto del dibattito riemerge la questione della c.d."toreutica tarantina": i legami stilistici riscontrati dalla studiosa tra la forma dei decori degli esemplari più fini con prodotti riferiti alla produzione tarantina di derivazione laconica fanno sì che la piccola plastica in bronzo rinvenuta a Poseidonia si inserisca nel problema della toreutica tarantina da me affrontato sin dagli anni settanta in riferimento alla definizione ed ubicazione degli ateliers.
Nel quadro complesso della plastica tardo-arcaica in bronzo quale il ruolo di Taranto ritenuta sede importante di atelier di bronzisti e toreuti? Vi erano localizzate fabbriche, come sostiene la maggior parte della passata critica( NEUGEBAUER 1923, JANTZEN 1937, JOFFRY 1954) oppure si è costruita un filone di ricerca che ha portato avanti nel tempo studi su singoli reperti inseriti in una tradizione di “toreutica tarantina” senza prove certe e solo sulla base di analisi stilistiche, partendo da un caposaldo arcaico,il cratere di Vix appunto, attribuito per primo a fabbrica tarantina?(G.BONIVENTO PUPINO 1970).
Oggi con gli studi di Rolley il ruolo di Taranto è minimizzato a favore di Sibari-Poseidonia, ma anche in tal caso le prove non sono solide in quanto nel settore della lavorazione dei metalli il luogo di reperimento di un oggetto, vuoi bronzo fuso o rame sbalzato o argento cesellato o gioiello, non coincide tout court col luogo di produzione data la mobilità dei prodotti e degli stessi artefici. Per ubicare con sicurezza un atelier dei metalli occorrono d’altro canto reperti connessi con la produzione in situ: residui di lavorazione, scorie, attrezzi,crogioli, stampi di colaggio, forni di fusione per le grandi statue che sicuramente lasciano una traccia; la toreutica invece non richiede,in quanto lavorazione a freddo dei metalli, grandi attrezzature o forni di fusione; stessa considerazione vale per la lavorazione dei metalli preziosi che spesso percorrono lunghe distanze dal luogo di produzione al luogo di ritrovamento. Del resto lo stesso Rolley ammette in questo dibattito “je reconnais que les lieux de découverte peuvent être différent des lieux de fabrication” (ROLLEY 1987)
Riguardo alla produzione dei crateri da simposio utilizzati dai greci anche come cheimelia o doni di rappresentanza per penetrare nelle realtà indigene non greche a scopo commerciale, accattivandosi i grandi capi-tribù, constato che dopo decenni di critica archeologica è ancora difficoltoso e problematico il reperimento di un punto fermo.
Neanche la classe delle hydriai contribuisce all’ubicazione definitiva dell’atelier (greco o magno greco?).
Nel patrimonio museale tarantino si conserva un’hydria arcaica in bronzo del secondo quarto VI secolo a.C., rinvenuta ad Ugentum, completamente fusa, senza ripresa a martello, simile nella tecnica alla n.6 delle hydriai di Posidonia-Paestum(catalogo Rolley); ebbene tale hydria con decoro a testa leonina tra rotelle sull’attacco dell’ansa verticale, è attribuita per la sua peculiarità stilistica sia ad una fabbrica di Corinto (LO PORTO 1970), sia ad un atelier magno greco di filiazione corinzia (ROLLEY 1990, STIBBE 1992, TARDITI 1996).
Quale ruolo dunque spetta alla Magna Grecia nella produzione tardo-arcaica di vasi in bronzo da banchetto? Ci pare indiscutibile il ruolo di diffusione delle varie tecnologie nella lavorazione dei metalli, come la fusione e la martellatura; la nuova tecnica evidenziata da Rolley del montaggio del corpo del vaso con labbro fuso a parte, dopo il modellaggio in cera ed il suo adattamento al collo, precedentemente martellato, con chiodi per fissaggio, dà rilievo al ruolo innovativo della bronzistica tardo-arcaica in Magna Grecia, dove i coloni avrebbero sperimentato nuove procedure tecniche non attestate in patria.
MA perché ipotizzare tanti ateliers, uno a Paestum, centro radiatore, un altro a Trebenischte, un altro ancora a Gela solo perché in quest’ultimo è stata rinvenuta un situla in bronzo eseguita con la tecnica italiota del labbro fuso a parte? L’ipotesi di una proliferazione di ateliers di bronzisti quanti sono i luoghi di rinvenimento dei vasi in bronzo mi sembra meno accettabile di quella che fa piuttosto riferimento ad un circuito commerciale.
C’è inoltre da riflettere sul tema della “laconicità”, cioè delle radici laconiche avvertibili in certa plastica in bronzo da Paestum; il riferimento alla corrente scultorea dell’arte spartana non mi sembra di poco conto rispetto alla corrente ionica, tanto più che già la stessa Paola Zancani Montuoro negli studi sulla scultura templare dei santuari alla foce del Sele aveva fatto riferimento “ad un gusto italiota e più propriamente tarantino” nella lavorazione dell’argilla per la decorazione templare, come appare nei busti femminili in funzione di antefisse.
E’ soprattutto la coroplastica o lavorazione dell’argilla che attesta in occidente lo stile laconico dedalico e proprio nel vaso in bronzo da Gela del c.d. “gruppo Telestas”, una serie di hydriai caratterizzate da teste femminili pendenti dall’ansa verticale, lo stesso Rolley ha riscontrato l’identicità tra la matrice della testa femminile ed una terracotta tarantina.
Il rinvenimento di imitazioni in argilla, se non di veri e propri calchi, di attacchi di hydriai in bronzo, lungo l’arco ionico, mi convince sempre più del rapporto tra bronzistica e coroplastica; in particolare andrebbe riesaminata la ricca produzione di coroplastica tarantina, tra cui le matrici, per fare più luce sulla plastica in bronzo, d’influsso laconico.
La tradizione laconica pare influenzare anche le cosidette “lampade del Sele”, in argilla, classe con caratteristiche figure femminili riscontrabili nella coroplastica tarantina, già richiamata nel confronto tra stile laconico e volto muliebre sul manico dell’hydria di Grächwill, attribuita a Taranto.
I legami richiamati tra produzioni da Paestum ed arte laconica riconducono ad una mediazione della colonia laconica di Taras? Interessandomi da tempo al problema della toreutica tarantina e della lavorazione dei bronzi, argenti ed ori a Taranto, ricordo che l’hydria da Grächwill, considerata dalla passata critica un caposaldo del “gruppo tarantino”,viene ricondotta ad un atelier artigianale tarantino produttore di anse fuse per hydriai, offi cina in cui la manualità indigena avrebbe preso il sopravvento, pur influenzata dallo stile laconico(BORDA 1979).
Le considerazioni stilistiche sui prodotti metallici oggetto del dibattito aggiungono più che togliere difficoltà ma sullo stile un passo avanti si è fatto, pur nella difficoltà del giudizio, considerando come i vasi di bronzo tardo arcaici dell’heroon, insieme alle due appliques recentemente evidenziate ,testa di cavallo e kouros, siano oeuvres qui échappent au style ionien dominant (ROLLEY 1985) con richiami, nell’esemplare di un bronzetto arcaico di kouros, all’arte peloponnesiaca ed argiva .
La lavorazione di vasi di bronzo martellati e fusi ricondotta in passato a Taranto( NEUGEBAUER 1923) per altri oggi conferma invece il ruolo fondamentale non tanto della colona spartana Taranto ma del Peloponneso(Rolley), ridimensionando Taranto rispetto ad un territorio indigeno in cui più numerosi sono i bronzi arcaici rispetto alla colonia spartana; verrebbe ridotta anche l’importanza commerciale di Taranto a favore di un import trans-adriatico diretto verso Piceno e Campania.
Come inserire d’altro canto in questo quadro complesso della bronzistica magno greca tardo-arcaica il noto Zeus stilita da Ugentum conservato nel museo di Taranto? Presenta le stesse radici stilistiche del cratere da Vix, non parla un linguaggio greco puro, proviene da un contesto messapico e non tarantino.
Si dovrebbe ipotizzare anche un atelier apulo per la bronzistica tardo-arcaica se dobbiamo concordare con Rolley che “l’Apulia non è Taranto”?
A conclusione di questo dibattito sugli ateliers metallurgici in Magna Grecia il mondo indigeno rientra a pieno titolo e va rivalutato, senza nulla togliere a Sibari come nodo storico di traffico commerciale privilegiato da leggi favorevoli alle importazioni, data la posizione strategica mediatrice del commercio etrusco tra Tirreno ed Ionio.
Di pari autorevolezza il ruolo commerciale della colonia spartana Taras nell’arco ionico costiero, comprensivo di un mondo indigeno interessato ai bronzi connessi alle pratiche del banchetto con simposio.
Il ruolo di Sibari è pienamente da confermare, a mio avviso, più come scalo milesio e tramite dei commerci tra la produzione etrusca ed il Mediterraneo; sono invece più perplessa sulla esistenza di un atelier di bronzisti a Sibari-Posidonia.
BIBLIOGRAFIA
NEUGEBAUER 1923: K.A.NEUGEBAUER, Reifarchaische Bronzevasen mit Zungemuster,in RM 1923-1924, pp.341-440
JANTZEN 1937: U.JANTZEN, Bronzewerkstätten in Grossgriecheland und Sizilien,in JdI,Ergänzungsheff XIII, 1937
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JOFFROY 1954: R.JOFFROY, La tombe de Vix, in MonPiot 48, 1954
BONIVENTO PUPINO 1970: G. BONIVENTO PUPINO, Il problema della toreutica tarantina, Ist. Archeologia Università degli Studi di Padova ,a. a. 1969-1970 (Tesi di Laurea-ivi bibl prec.)
LO PORTO 1970: F. G. LO PORTO,Tomba messapica da Ugento, in AttMemSocMGrecia XI-XII, 1970-71, pp.99-152
BORDA 1979: M.BORDA,Arte Dedalica a Taranto,
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E. LIPPOLIS, Toreutica,in Gli ori di Taranto in età ellenistica, cat.mostra Taranto 1985, pp.33-50
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BONIVENTO PUPINO 1987:G.BONIVENTO PUPINO, Un atelier di bronzisti a Posidonia? Dibattito a Rolley in Posidonia-Paestum, Atti Taranto 1987, pp.219-223
STIBBE 1992: C.M.STIBBE, Archaic bronze hydriai, in BaBesch 67, 1992, pp.1-62
TARDITI 1996: C.TARDITI, Vasi di Bronzo in area Apula-Produzioni greche ed italiche di età arcaica e classica, Lecce 1996.
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